COSMO LAERA A GIBELLINA
di Enzo Fiammetta-Direttore Museo delle Trame Mediterranee
Alcuni anni addietro uno degli artisti in residenza alla Fondazione Orestiadi è stato il cinese Li Xian Yang, allievo di Toti Scialoja. Le sue opere oltre a riportare alcune delle emergenze artistiche di Gibellina sono caratterizzate da fasci di colore brillante con i quali l’artista ha voluto segnare uno degli aspetti che più lo hanno colpito di Gibellina: la luce, che caratterizza anche le immagini di Cosmo Laera. Luce chiara, diafana, trasparente, che avvolge la città nuova e mette in evidenza le rughe precoci del giovane insediamento, che probabilmente ricorda quella di Alberobello, città natale del nostro artista. Bianca come il Cretto di Burri, come
la sfera della chiesa di Quaroni. E’ una città senza gente quella documentata da Laera, se non fosse che le auto nelle immagini assolvono alla funzione di fossili-guida, documentando la presenza di una nutrita comunità e le sproporzionate dimensioni della città. Sensazione di una rarefazione della presenza umana, rafforzata dalla presenza di poche persone in alcune delle sue immagini, collocate in maniera artificiosa e regolata, che ci comunicano un ulteriore estraniamento dalla realtà. Le donne, gli uomini vengono utilizzati come elementi che partecipano alla composizione dell’immagine e che assumono la funzione del punctum, come definito da Barthes, parti che segnano l’aspetto emotivo dell’immagine. La rarefazione della presenza umana è quello che ci colpisce irrazionalmente, il fulcro attorno al quale ruota l’occhio del fotografo e su cui si riflette il nostro con curiosità e attenzione.
Le opere di Laera sembrano indicarci una sospensione del tempo, tutto nelle sue foto assume una staticità irreale. Gli uomini come le cose. La foto che ferma l’attimo. Come se non esistesse un prima e un dopo. Luce bianca e spazi aperti. Immagini come realizzate con gli antichi flash in interno, dove l’attimo è quello che l’occhio del fotografo vuole fermare e solo quello.
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